Nella progettazione di interventi di consolidamento strutturale si va diffondendo la tendenza ad evitare, ove possibile, il ricorso a barre d’acciaio, sia per fugare le perplessità legate all’inevitabile corrosione, sia per operare interventi reversibili e non invasivi. Tra i materiali non metallici in grado di assicurare forti tenute agli sforzi e resistenza alle aggressioni chimiche, buone prospettive offrono i materiali compositi - ecco perché qui parleremo di materiali compositi a matrice polimerica - già ampiamente diffusi in altri campi delle tecnologie industriali.

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Si tratta di resine polimeriche che fanno da matrice, dando forma e consistenza alle numerose impalpabili fibre immerse nel corpo della sezione. Anche le fibre sono composte da materiali polimerici, ma queste sono dotate di straordinaria capacità di resistenza a trazione assiale. È infatti la concatenazione di monomeri tutti allineati in un polimero con macromolecola a catena lineare che conferisce straordinarie capacità di resistenza a trazione assiale.


L’industria chimica mette a disposizione dei tecnici una serie di compositi, tra i quali è possibile rinvenire il materiale più adatto a ciascun intervento.

Le fibre meno nobili, ma più economiche, sono le fibre di vetro (FV), prodotte a partire da materiali silicei (silicati di calcio o di magnesio). Un tempo note come vetroresine, oggi sono praticamente inattaccabili grazie a più sofisticati processi di polimerizzazione, che conferiscono alle fibre una resistenza a trazione di circa 4000 MPa e un modulo di elasticità pari a 80000 MPa, entrambe con carico di rottura del composito calcolato sulle sole fibre. Più nobili e costose, perché con più elevate caratteristiche, sono le fibre al carbonio (FC), composte da carbonio grafitico chimicamente puro, o quelle ricavate da idrocarburi aromatici, come le aramidiche. I valori della resistenza a rottura salgono fino ad oltre i 5000 MPa per le FC (3000 per le aramidiche). Il modulo E per le FC più usate è di 250000 MPa, mentre per le aramidiche si ferma intorno ai 125000 MPa. Queste ultime sono fibre organiche dotate di una particolare struttura cristallina con catene molecolari allineate e rinforzate da anelli aromatici legati da ponti di idrogeno. Accreditate di grande capacità in ambiente alcalino, a temperatura ambiente risentono di un effetto dell’umidità sulle proprietà meccaniche inferiore al 5%, mentre la quota del creep è inferiore a quella del vetro.

Le fibre al carbonio, dalla struttura molecolare stabile grazie all’alta temperatura di polimerizzazione, possono essere prodotte in diverse tipologie, alcune con elevato modulo elastico (fino a 750000 MPa), altre ad elevata resistenza meccanica.

Oltre che per differente formulazione chimica, i fibrorinforzati in commercio si differenziano anche per tipologia.

  • Sistemi pre-formati: sono in forma di lamine, strisce, tondi o trecce, preparate in stabilimento mediante pultrusione o laminazione. La pultrusione è il procedimento con il quale, passando in un bagno di resina a temperatura e viscosità controllata, le fibre polimeriche vengono impregnate e assumono la forma voluta. Dopo il bagno, il prodotto passa in un forno di polimerizzazione nel quale i singoli meri si uniscono allineandosi e formando il polimero
  • Sistemi impregnati in situ: sono costituiti da fogli di fibre uni- o multi-direzionali, o da tessuti che vanno impregnati con una resina che ha funzione di matrice e che funge da adesivo al supporto
  • Sistemi pre-impregnati: sono costituiti da fogli di fibre uni o multi-direzionali, o da tessuti pre-impregnati con resina parzialmente polimerizzata. Possono essere incollati al substrato da rinforzare con o senza l’uso di resine aggiuntive.


Le lamine in carbonio sono utilizzate in vari contesti, ad esempio in luogo dei tiranti per diagonalizzare maglie murarie ed evitarne la parallelogrammizzazione in caso di sisma, oppure sottostanti ad un tessuto fibro-rinforzato da impregnare in sito, per realizzare un cordolo irrigidente sul bordo esterno.

I tondi si usano per cuciture a tratto breve o per tirantature a tratto lungo, come nell’intervento presso l’Albergo dei Poveri di Ferdinando Fuga a Napoli.

I tessuti, da polimerizzare in sito con apposito rullo, si usano per cerchiare pilastri, o interi fabbricati, o anche per trasformare in travi portanti a flessione piattabande ottenute con conci di tufo.

Questi materiali sono in fase di sperimentazione nei laboratori scientifici ed industriali. A Napoli sono usati sin dal 1994, per consolidamento di volte. I principali vantaggi sono la durabilità, la leggerezza, le elevate prestazioni meccaniche, la capacità di isolamento termico ed elettrico e la disponibilità all’uso in tecniche non invasive e reversibili. Sono tuttavia da tener presenti alcune controindicazioni:

  • incapacità di sopportare le temperature raggiunte in caso di incendio;
  • necessità di protezione da luce ed ultravioletti;
  • mancanza di una normativa ufficiale definitiva per regolarne l’uso nell’edilizia;
  • difficoltà nell’eseguire le prove di laboratorio per la determinazione della resistenza a rottura a trazione di provini monodimensionali (il carico applicato all’estremità non si trasmette alla fibre interne senza danneggiare la matrice): così, le ditte produttrici preferiscono fornire dati relativi a resistenze convenzionali, valutate su prove a flessione, ed inferiori ai reali carichi di rottura a trazione del materiale, che restano di fatto indeterminati. È anche vero, nondimeno, che l’impiego dei fibrorinforzati per il miglioramento statico in strutture già dotate di una sicurezza di base, rende meno imprescindibile il controllo dei livelli di prestazione.


L’uso dei compositi per il consolidamento statico oggi è così diffuso da alimentare una certa preoccupazione per l’insufficiente valutazione delle criticità. La quantità dei prodotti in commercio, la varietà di resine e collanti, le differenti caratteristiche delle murature, nonché l’imprevedibile qualità delle lavorazioni in cantiere, non consentono di sperare che le prove in laboratorio possano fornire a breve indicazioni utili per tutti, rendendo necessarie le prove in cantiere su scala ridotta. I test in laboratorio per valutare la resistenza allo scorrimento di una lamina placcata su una pietra di tufo confermano che lo scorrimento anticipa la rottura, e non coinvolge tutta la superficie di incollaggio, ma trascina un piccolo strato di tufo che si distacca dal blocco lapideo, evidenziando come il valore ultimo della resistenza di scorrimento sia relativo alla pietra anziché al collante. La collaborazione dei rinforzi è infatti pesantemente condizionata dalla capacità di trasmettere sforzi tangenziali tra fibrorinforzato e supporto, con condizioni più severe su superfici concave come gli intradossi di archi e volte, per il comparire di una forza di strappo ortogonale alla superficie di contatto.

Ciascuna tipologia è adatta a particolari interventi, cosicchè il progettista può scegliere quella più appropriata.

A titolo di esempio si riportano alcune immagini con impiego di questi materiali.

In fig. 1, fasc pre-impregnate disposte sotto la pavimentazione e sigillate negli angoli per garantire la indeformabilità della pianta di maglia in caso di sisma. In tal modo si riduce drasticamente il disgaggio degli spigoli.

i-materiali-compositiIn fig. 2 un esempio di confinamento di pilastri con tessuto di carbonio.

muro-di-cintaIn fig.3 una vista di un tratto di muro di cinta della cittadella di Suor Orsola, a Napoli, e in fig.4la vista dello stesso muro dopo il restauro e rafforzamento, ottenuto con posa in opera di nastri in carbonio che corrono lungo il bordo superiore del muro, e con chiodatura con barre verticali in fibrorinforzato.

In fig.5 una rappresentazione di chiodatura del muro al terreno con tiranti tubolari in fibre di vetro.

chiodatura

In fig.6 una fascia in tessuto di carbonio, prima della polimerizzazione e messa in opera.

fascia-in-tessuto-di-carbonio

In fig.7 e in fig.8 la realizzazione di una cintura in carbonio all’altezza del cornicione di un immobile napoletano.

realizzazione-cinturaIn Fig.9 una prova a rottura di una trave rinforzatacon nastro di carbonio all’intradosso, per la valutazione dell’incremento di resistenza a flessione nella sezione di mezzeria. Anche sulle pareti laterali della trave è presente il placcaggio, per impedire una anticipata rottura a taglio. Il nastro è interrotto nella sezione di mezzeria per evitare che ritardi anche la rottura a flessione.   

prova-a-rottura-trave-rinforzata

In Fig.10 e nella Fig.11 la prova a rottura di un modello di arco nel cantiere di Palazzo Fuga, ex Reale Albergo dei Poveri.  Gli appoggi di estremità del modello sono scorrevoli, su rulli.  Ciò che rende necessario ma più problematico il rinforzo nella sezione di mezzeria, per la presenza di forze di strappo normali alla superficie d’intradosso, in aggiunta a quelle  tangenziali di scorrimento, le sole presenti in travi ad intradosso  piano. 

prova-rotturaIn Fig.12, lo scorrimento limite del nastro di carbonio comporta  il trascinamento di una sottile crosta di tufo. Ciò che viene confermato anche da prove di laboratorio, come si vede nella fig.13. E’ prova della debolezza della pietra, incapace di sfruttare a pieno la resistenza della resina-collante. Il valore ultimo della t di scorrimento va misurato, quindi, in base alle caratteristiche di resistenza della pietra, e non da quelle del collante.

12-13
Nella fig. 14, piattabande in tufo per prove con malta di cemento nel cantiere di recupero statico della Reggia Quisisana di Castellammare di Stabia, dove si è sperimentato l’uso di una nuova tecnica che impiega, in luogo del polimero, rete, sempre in fibre di carbonio, che si distende sul supporto da rinforzare spalmandolo  con malta cementizia additivatafino a ricoprirla. La rinuncia alla matrice epossidica rende meno critico il processo di indurimento (non c’è polimerizzazione), mentre le prove in laboratorio mostrano un notevole accrescimento della resistenza al fuoco.

piattabande-in-tufo


Per valutare situazioni in modo più completo, sono state organizzate a suo tempo, nel Laboratorio di Scienza delle Costruzioni della facoltà di Ingegneria di Napoli, prove su di un modello di casa in scala ridotta sottoposta a vibrazioni provocate da una vibrodina posta sul tetto. In fig.15 il modello dopo la costruzione (volutamente eseguita in modo mediocre), poi riparata alla meglio dopo una fase di notevole danneggiamento Fig.16. In Fig. 17 la costruzione rinforzata con fasce al carbonio e al silicio: la vibrodina non è più riuscita a comprometterne la stabilità.

materiali-compositi-per-l-ingegneria
materiale

17 In Fig.18 un esempio di delaminazione, grave sintomo di imperfetta polimerizzazione.  Ma la delaminazione, che crea distacchi tra le fibre, può essere   dovuta all’effetto distorcente provocato nel composito dalla rottura a compressione delle pietre nella sezione di mezzeria. La forte curvatura castiga il nastro, tenacemente legato alle pietre, ad assumere una configurazione spigolosa che frantuma la matrice e disgrega l’insieme di fibre.

esempio-di-delaminazione

In Fig.19, un nuovo modo di cerchiare le maglie di una ossatura muraria; può definirsi ad anelli incrociati, ed appare molto efficace.

cerchiare-le-maglieNelle figg. 20 e 21 il processo di formazione e polimerizzazione (pultrusione) di compositi in barre tubolari, a partire dalle fibre polimeriche. processo-di-formazione

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